La fine dell’ADA e la sua eredità

L’attività dell’associazione Amici degli Archivi termina, mentre l’UNADA, diventa una nuova associazione parallela all’ANAI. 

1921

Con il divieto di Giolitti nell’organizzazione del Congresso di Trento per gennaio 1920, per mezzo di un telegramma ricevuto dall’organizzazione pochi giorni prima dell’avvio dello stesso, l’ADA cessa la sua attività.

Tuttavia, i suoi sforzi verranno recepiti più tardi dall’ANAI che verrà fondata nel 1949, e da un’altra organizzazione parallela, chiamata UNADA. L’Unione Nazionale Amici degli Archivi è l’erede più diretta dell’attività dell’ADA.

Come l’associazione fondata da Lodolini, infatti, l’UNADA ammetteva non solo gli archivisti di Stato ma anche i cultori e gli interessati agli Archivi. Diversamente, l’ANAI aveva tra i suoi membri solo archivisti di Stato. Nonostante nell’articolo 1 dello Statuto fondativo (1949) l’ANAI si dichiarasse aperta a cultori degli archivi, nella pratica questa possibilità non venne nei primi anni applicata. All’attività dell’ANAI però participeranno diversi docenti universitari e studiosi.

Dopo la fine dell’ADA, ad accogliere le categorie escluse dall’ANAI a recepire i loro bisogni per tutti gli anni Cinquanta ci pensò l’UNADA.

L’UNADA fu fondata sul modello dell’ADA e ammetteva al suo seguito anche personalità politiche e studiosi. Il promotore fu l’archivista romano Gaetano Ramacciotti e il presidente era appunto un senatore, Italo Mario Sacco. L’associazione aveva accolto consensi tra uomini politici e dalle istituzioni stesse, perciò tra i suoi membri si potevano trovare senatori e parlamentari di tutti i fronti politici. Fu attiva per tutti gli anni Cinquanta e intrecciò le sue attività con quelle dell’amministrazione archivistica, pubblicando le proprie notizie nella rivista “Archivi” fin dal 1951. L’attività dell’associazione si esaurì con la morte del presidente, facendo diventare l’ANAI l’associazione indiscussa a rappresentanza degli archivisti italiani.