Alla Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura
Signor Presidente,
l'11 marzo l'ANSA ha diffuso la notizia che il Consiglio Superiore della Magistratura ha progettato di impiegare reclusi di Rebibbia nel lavoro di informatizzazione del suo archivio cartaceo. Il progetto prevederebbe la digitalizzazione iniziale in sei mesi di 900 mila pagine per un costo di 42 mila euro per "ridurre la mole" dei propri documenti, ma anche per dare un'opportunità di reinserimento ai reclusi del carcere romano. L'impiego dei reclusi in attività lavorative di pubblica utilità è certamente un fine apprezzabile e realizza lo scopo rieducativo della detenzione in una moderna democrazia.
La digitalizzazione di un archivio cartaceo è però un'operazione molto complessa, che richiede un approfondito studio preventivo, probabilmente anche un preliminare riordinamento e individuazione materiale della documentazione da trattare, la predisposizione di strumenti descrittivi informatici adattati alle specificità della documentazione che, associati alle immagini digitalizzate dei documenti, permetteranno ad appositi programmi di gestire l'archivio digitalizzato e consiste in operazioni tecniche nelle quali l'apporto di personale del tutto generico e non specializzato - come inevitabilmente sono i reclusi in questione - può avere solo un ruolo subordinato e ausiliario, se pur indispensabile, come per esempio quello della movimentazione dei materiali. La sola notizia che verranno impiegati i reclusi nell'operazione, in mancanza di qualsiasi precisazione sulla programmazione e gestione di questi aspetti del progetto, che naturalmente richiedono lo studio, la progettazione, la direzione e l'esecuzione delle complesse operazioni tecniche sopra descritte da parte di archivisti professionisti specializzati - come se si trattasse di aspetti ovvii e scontati una volta affidate le operazioni ai reclusi, che magari si pensa di ‘formare' ad eseguirle con corsi di pochi giorni - desta perciò seria preoccupazione. Il Consiglio Superiore della Magistratura dovrebbe infatti essere il primo a sapere che il suo archivio è per legge un bene culturale tutelato dal Codice dei beni culturali, l'articolo 9 -bis del quale, introdotto dalla recente legge 110 del 2014, prevede che gli interventi sui beni culturali archivistici sono affidati alla responsabilità o alla diretta attuazione di "archivisti in possesso di adeguata formazione e professionalità".
Vogliamo immaginare che nell'urgenza di annunciare un aspetto di rilevanza politica e mediatica come l'impiego dei reclusi il Consiglio Superiore non abbia ritenuto di dilungarsi su questi altri aspetti, come quello delicatissimo della tutela della riservatezza, quello della selezione degli originali meritevoli di conservazione, che devono essere versati all'Archivio Centrale dello Stato ai sensi della normativa vigente.
Si chiede pertanto alla Presidenza il necessario chiarimento in merito.
A nome del Consiglio direttivo dell'ANAI
Il Presidente, Marco Carassi